LA PRATICA DELL’ACCETTAZIONE DI SE

Proseguiamo il percorso relativo all’autostima approfondendo l’accettazione di se.

accettazione di seProviamo a fare un esperimento. Mettiamoci davanti allo specchio e osserviamo la nostra figura riflessa. Cosa vediamo? Dove indugia il nostro sguardo? Ci sono parti di noi che fatichiamo ad osservare con attenzione? Pensiamo di fare la stessa cosa con uno “specchio interiore”. Cosa ci piace? Cosa no? Come ci comportiamo nei confronti di ciò che non ci piace?

Sono convinta che molti di noi troveranno senza troppa difficoltà parti di se sgradevoli e difficili da accettare, sia dentro che fuori di se. Spesso questa mancanza di accettazione si accompagna a una sorta di autocondanna, di biasimo profondo di noi stessi, che si traduce in una sensazione di malessere che non ci lascia in pace. E’ come essere il proprio peggior nemico.

E’ evidente che questo atteggiamento non aiuta la nostra autostima.

L’accettazione di se si esprime in tre livelli.

  1. Al primo livello troviamo un sentimento di apprezzamento per se stessi, di essere a favore di se, di guardare a se con benevolenza per il semplice fatto di esistere.
  2. Al secondo livello si trova la capacità di vedere e accettare come veri i propri comportamenti, pensieri ed emozioni, senza negare l’esistenza di quelle parti di se che riteniamo meno gradevoli e di cui non andiamo orgogliosi. Questo non significa giustificare ed accettare acriticamente di farsi trasportare dagli eventi (ricordiamo che la prima pratica dell’autostima è la consapevolezza) ma la comprensione del fatto che il fondamento per il cambiamento è l’accettazione (e quindi l’esplicito riconoscimento) di ciò che riteniamo non desiderabile. Negare queste parti di se ne impedirebbe completamente la trasformazione.
  3. Al terzo livello troviamo la compassione di se, un profondo senso di amicizia per se stessi, anche e soprattutto  per quelle parti di se meno gradevoli. La compassione non nega la realtà, non trasforma le azioni sbagliate in giuste, ma consente di comprenderle e contestualizzarle. La compassione non determina un aumento dei comportamenti indesiderati, anzi, li riduce, come possiamo apprendere da discipline (quali il Buddismo) che ne fanno un principio cardine per il comportamento etico umano. Da tali discipline e dal confronto con esse possiamo dedurre che tale malessere così diffuso nella nostra società può derivare da un’eccessiva identificazione con i propri stati mentali, mentre la capacità di osservare se stessi e di distaccarsi dalla superficie del lavorio mentale consente una comprensione di se più profonda e autentica e capace di sviluppare un benessere che si estende nei vari campi dell’esistenza.

A questo punto abbiamo compreso che distogliere l’attenzione e negare ciò che non va nella nostra vita ha l’effetto paradosso di amplificarne l’effetto. L’antidoto alla negazione sono la presa di coscienza e l’accettazione. Quando parti di noi stessi ci suscitano emozioni sgradevoli dovremmo concentrarci sull’emozione e lasciare che essa si manifesti nel corpo, riconoscendola come nostra. Lasciare che un’emozione si manifesti, riconoscendola nei suoi aspetti mentali e corporei ci consente di lasciarla fluire, ogni tentativo di negarla la renderebbe più forte, portandola ad alimentare reazioni di difficile comprensione persino per noi stessi. A volte però ci è davvero difficile accettare una nostra reazione, in questo caso possiamo iniziare accettando d avere questa resistenza.

Attenzione: accettarsi non significa approvare tutto, ne tanto meno significa opporsi  al cambiamento o non essere interessati a trasformarsi. Anzi, è vero proprio il contrario. Accettarsi per come si è sollecita la motivazione a cambiare e offre ispirazione per affrontare un percorso di crescita personale.

La negazione spesso non vale solo per i propri difetti, ma anche per i propri pregi, in quanto questi ultimi ci pongono la sfida della responsabilità, che ci può altrettanto spaventare. Riconoscere di avere delle qualità significa rendersi conto di avere la responsabilità di metterle a frutto e di utilizzarle in senso positivo nella realtà.

A questo punto possiamo provare a replicare l’esperimento dello specchio. Questa volta però sforziamoci di non distogliere lo sguardo, di vedere tutto quello che c’è. Una volta osservato attentamente ciò che c’è, nel bene e nel male, proviamo a ripeterci “io mi accetto per quello che sono, con i miei pregi e i miei difetti, senza riserve”.

La pratica dell’accettazione di se è il secondo pilastro dell’autostima, è il fondamento della compassione e la solida base su cui poter poggiare lo sviluppo di se e la crescita personale.

BIBLIOGRAFIA

Branden, N. (1994) I sei pilastri dell’autostima. Tea

Dalai Lama, Goleman, D. (1998) Le emozioni che fanno guarire. Mondadori

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Anna Sari, psicologa

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