ISTINTO DI DONNA

femminile e maschileLe differenze tra uomini e donne sono un argomento frequente di conversazioni, articoli e trattati. La psicoanalisi ha storicamente proposto una differenza di ambito di competenza tra i generi: gli uomini maggiormente orientati all’intelletto e alla spiritualità, le donne alle pulsioni e ai sentimenti. Il genere femminile è considerato sesso debole e quindi carente di aggressività (intesa come disposizione istintiva che orienta a conquistare e difendere il proprio territorio fisico, psichico e sociale; affermazione della propria identità) e comportamenti ricorrenti, quali il narcisismo e il masochismo, sono trattati come espressione della natura delle donne.

Ma è davvero così?

Nel suo bellissimo libro “L’aggressività femminile” Marina Valcarenghi ci offre una spiegazione diversa. L’autrice ha notato una certa sistematicità nella manifestazione di un conflitto femminile tra i propri desideri e le proprie azioni, conflitto che genera rabbia e umiliazione. La spiegazione di tale sistematicità risiede in un deficit aggressivo che rende difficile riconoscere i propri desideri e di conseguenza agire per difendere il “proprio territorio”. A differenza di quanto classicamente sostenuto dalla psicanalisi, Valcarenghi non considera l’atteggiamento remissivo femminile come un atteggiamento “naturale” bensì derivante da una sistematica repressione della natura femminile nella storia dell’umanità.

La differenza tra i generi, in realtà, non risiede nell’ambito di competenza, ma bensì in una diversa espressione all’interno dei vari ambiti. Gli archetipi femminile e maschile quindi sono si complementari, ma non perché si dividono i contenuti, ma perché opposti nella forma, cioè sono due modi di pensare e non il pensare opposto al sentire. Il pensiero maschile è orientato alla penetrazione, è un pensiero logico-deduttivo e si fonda sul principio di causa-effetto. E’ un pensiero lineare, teso allo sviluppo della conoscenza razionale. Affronta le situazioni tendendo a costruire (o distruggere) più che conservare. Il pensiero femminile invece tende ad assorbire, ad accogliere, considerando l’insieme più che a isolare le parti, e considerando le relazioni tra le parti, si orienta più alla sintesi e alla conservazione che all’analisi.

Il pensiero ricettivo e il pensiero penetrativo sono complementari e necessitano l’uno dell’altro per generare una funzione mentale armoniosa sia a livello collettivo che di individuale. La mancanza di questa integrazione può portare all’ossessività, al dispotismo e alla paranoia (pensiero maschile) o al disordine, all’indifferenziazione e al blocco (pensiero femminile). Queste differenze si ritrovano anche nel vissuto dei sentimenti, con il principio femminile centrato sulla percezione emotiva e con il principio maschile orientato a progettare ed agire e quindi a modificare.

E’ noto a tutti che è solo nel secolo scorso e solo in alcune parti del mondo, che le donne hanno iniziato ad avere più potere rispetto alle decisioni riguardanti le proprie vite e maggiori possibilità di partecipare alla vita sociale e culturale dell’umanità. Quindi solo in tempi recenti l’aggressività è tornata nella disponibilità delle donne. Agli albori della civiltà i maschi, più forti e più veloci nel prendere decisioni, dovevano sviluppare strutture sociali efficienti e capaci di difendersi dai pericoli (animali, clima, migrazioni). Il pensiero femminile doveva essere sacrificato per lasciare spazio a una concentrazione di energia maschile a vantaggio della specie. Perché ciò fosse possibile era necessario svalutare il femminile attribuendogli caratteri minacciosi e disgreganti. Tale repressione del femminile è stata quindi necessaria, ma talmente pervasiva da generare una mutazione dell’istinto femminile aggressivo, cosa spiegabile solo attraverso una necessità forte quanto la conservazione della specie. E proprio tale necessità spiega come mai le donne si siano piegate a questa limitazione della propria natura. La censura dell’aggressività femminile però ha trascinato con se il modo femminile di pensare la realtà e di stare al mondo, di capire, di immaginare, di trasformare la realtà.

Questa mutazione dell’istinto ha un prezzo da pagare, caro e salato, a livello individuale, con i meccanismi nevrotici, compensatori di un istinto compresso. Possiamo citare, ad esempio, il narcisismo, l’iperattivismo, l’ipertrofia della maternità, la delegittimazione, il masochismo, il vittimismo. La necessità evolutiva che ha generato questa repressione non è più presente, ma l’automatismo è talmente sedimentato che continua a perpetuarsi.

L’aggressività maschile ha subito una modifica speculare nel corso del tempo: ha perso la sua capacità costruttiva e trasformativa ed è diventato uno strumento di rovina, è passato da essere meccanismo conoscitivo a strumento di esercizio di un potere delirante e distruttivo. Ciò che sta succedendo è che le donne si conquistano spazi nel mondo aderendo acriticamente al modello maschile, ma ciò non consente di riappropriarsi del proprio territorio, della propria natura femminile, che è altro e non un adattamento della natura maschile. Tale questione non riguarda solo le donne, ma come agli inizi della civiltà, riguarda l’intera specie. Il predominio del pensiero maschile è evidente nel rapporto tra l’uomo e la natura e tra i diversi gruppi umani, dove la degenerazione del principio maschile porta a una distruzione sistematica di legami per l’esercizio di un potere non più rivolto alla salvaguardia della specie, ma fine a se stesso. Tale situazione potrà essere modificata solo dalla affermazione del pensiero femminile, riportando un equilibrio tra i due mondi (modi) di pensare, analitico e sintetico. Il compito dell’umanità sarà far riemergere l’aggressività femminile dal rimosso dell’inconscio, individuale e collettivo, nelle vite dei singoli e dei gruppi, portando alla compresenza e all’integrazione dei principi femminile e maschile.

 BIBLIOGRAFIA

Valcarenghi, M. (2003) L’aggressività femminile. Bruno Mondadori.

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Anna Sari, psicologa

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