ALLA SCOPERTA DELLE EMOZIONI: LA PAURA

“la macchina fa un rumorino strano… forse dovrei portarla dal meccanico. E se fosse necessaria una riparazione? E se invece non fosse riparabile e dovessi cambiarla? Come farò… ecco, avrei dovuto risparmiare e non fare quell’assicuraalien-41624_1280zione sanitaria… però ho spesso mal di testa… e se fosse un tumore al cervello?…”

Riconoscete questo concatenamento di pensieri preoccupati? Ma come si arriva dallo spavento a questo tipo di attività di pensiero?

Innanzitutto dobbiamo chiarire cosa intendiamo per paura: si tratta di una risposta soggettiva a uno stimolo che comprende uno stato di attivazione fisiologica, manifestazioni comportamentali come il freezing (congelamento) o la risposta di attacco o fuga e una sensazione soggettiva di tensione e apprensione. Secondo una prospettiva interazionista, tale reazione emergerebbe da un’interazione tra caratteristiche di base dell’individuo e il particolare contesto in cui si trova, che portano ad elaborare particolari pensieri, che spesso mancano di un criterio di oggettività, attivando schemi cognitivi riguardanti la percezione del pericolo, la percezione della vulnerabilità personale e delle risorse che è possibile mettere in campo. Questo lavorio mentale attiva i sottosistemi affettivi, comportamentali e fisiologici.

Rilevante in questo ambito è il concetto di rimuginio (worry) definito da Borkovec come una catena di pensieri gravata da emozioni negative e relativamente incontrollabile. Tale processo ha una natura adattativa, in quanto mantiene alti i livelli di vigilanza in vista di un possibile danno, tenendo alta l’attenzione e spingendo a trovare soluzioni. In pratica, quando la paura mette il cervello emozionale in uno stato di agitazione, parte dell’ansia serve a fissare l’attenzione sulla minaccia, costringendo la mente a trovare un modo per controllarla, ignorando temporaneamente ogni altra cosa. Il problema sorge quando queste preoccupazioni diventano ripetitive, impedendoci di vedere una soluzione positiva. Tale ciclo di preoccupazione può sfociare in veri e propri disturbi, quali fobie, ossessioni e compulsioni e attacchi di panico. Beck, infatti, concettualizza i disturbi d’ansia come sistemi di allarme ipersensibili, che “trillano” anche quando non dovrebbero.

Come abbiamo visto nell’esempio iniziale, la preoccupazione si configura come un discorso narrato a se stessi, in cui si salta da una preoccupazione all’altra, comprendendo spesso pensieri catastrofici. L’ansia però non assume solo questa forma cognitiva, ma ha anche una forma somatica, caratterizzata da sintomi corporei come sudorazione, tachicardia, tensione muscolare.

Borkovec constatò che il rimuginio sembra ridurre i sintomi somatici dell’ansia, attraverso misurazioni della frequenza cardiaca; probabilmente la mente impegnata in questa catena di pensieri si allontana almeno momentaneamente dall’immagine che scatena l’ansia, dandone un momentaneo sollievo. Questa catena di pensieri però assume spesso un carattere stereotipato e rigido e non di atto creativo capace di avvicinare alla soluzione del problema.

Esiste però un modo che ha rivelato una buona efficacia nel contrastare questo fenomeno, che si fonda sull’autoconsapevolezza. Innanzitutto è necessario individuare fin da principio lo scatenarsi del ciclo preoccupazione ansia, imparando ad ascoltare i segnali che arrivano da dentro di sè sia a livello cognitivo che somatico. E’ necessario poi apprendere una tecnica di rilassamento, come ad esempio il training autogeno, capace di incidere sugli aspetti di attivazione fisiologica che si accompagnano all’ansia. A ciò però si deve aggiungere un atteggiamento critico di messa in discussione dei pensieri che generano la preoccupazione. In questo modo si generano due processi intenzionali e basati sulla consapevolezza delle proprie emozioni capaci di contrastare sia a livello fisico che mentale i segnali ansiogeni che il cervello invia a tutto l’organismo, evitando che la paura generi quel “sequestro emozionale” che impedisce di affrontare in modo costruttivo la situazione, ma imparando quindi a sfruttare la paura come segnale di pericolo nel momento e nel modo migliore nel percorso di crescita personale.

 

BIBLIOGRAFIA

Goleman D. (1996) “Intelligenza Emotiva”, R.C.S, Milano

Galeazzi A.,Meazzini P.(2004) “Mente e comportamento. Trattato italiano di psicoterapia cognitivo-comportamentale” Giunti Ed.

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Anna Sari, psicologa

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